La valutazione

  Il modello dinamico per la valutazione dei percorsi formativi fa riferimento ai tre obiettivi essenziali richiamati nella videata precedente.
Esistono competenze di soglia (essenziali e necessarie sufficienti a garantire condizioni minime di efficacia, al fine di condurre bene l’”ordinaria amministrazione” di un esercizio, di un compito) e competenze distintive che individuano gli elementi di efficacia e di efficienza e che permettono all’impresa non solo di sopravvivere ma di rigenerarsi, adattandosi creativamente alla realtà per raggiungere obiettivi nuovi, complessi, difficili.
L’obiettivo della formazione mira a garantire che i singoli partecipanti acquisiscano le conoscenze di soglia previste, ma devono altresì promuovere il conseguimento di competenze distintive.
Oggetto della valutazione sono il raggiungimento degli obiettivi e la soddisfazione delle persone; la pertinenza, l’efficacia e la qualità del metodo applicato; i legami e la comunicazione tra i partecipanti; la scansione dei vari tempi, gli orari, l’ambiente fisico. Valutare significa anche interpretare l’apprendimento, identificare i risultati e i miglioramenti da apportare a servizio delle persone e dei gruppi, rimediare gli errori.
 
Nella formazione e nell’azione performativa, la variabile strategica riguarda evidentemente la persona. Non bastano i mansionari di ruolo, è necessaria un’attenzione specifica e competente al percorso di vita e all’identità di ogni singolo lavoratore. La formazione abilita a stare dentro alle situazioni e alle relazioni, ad abitare diversamente la vita. La formazione genera modi diversi di leggere il presente, di immaginare le proprie azioni e dà origine a uno stile di vita nuovo.
La formazione dunque non è quiete ma disponibilità ad entrare nel mondo reale per leggerne le domande etiche, anche drammatiche, poste alla coscienza nel mondo precario e smarrito dell’economia.
Per ricomporre una vita frammentata e divisa fino a ricrearla (l’ecologia umana è sempre domanda di unione e di accordo) occorre ritornare alla scuola del “leggere” e dello “scrivere”, a considerare, cioè, la vita e la storia come un testo da decodificare e completare. E tutto a partire dal corpo, il primo testimone da ascoltare, il quale parla perché sente e vive.
Solo una formazione sistematica e continua può sostenere e sviluppare un quadro di riferimento, etico ed estetico, in grado di sostenere l’attuale situazione di disorientamento.
     Pensare significa eseguire, sul piano simbolico, un’azione sugli oggetti. Per convivere con la precarietà, la diversità, la molteplicità delle esperienze, bisogna imparare a pensare senza mai “chiudere i concetti”. Secondo Edgar Morin , la “testa ben fatta” non si accontenta del sapere mnemonico e specializzato, supera il dominio delle singole discipline, concilia il sapere umanistico con quello tecnologico. Solo così si può affrontare la nuova condizione dalla globalità e dalla complessità della vita quotidiana.
L’allievo deve raggiungere un sapere flessibile e modellabile. Le nuove prospettive dell’apprendimento cooperativo, infatti, sollecitano organizzazioni formative dinamiche, facilmente adattabili, capaci di interagire con altri soggetti.







Questa scheda  è stata redatta da: Domenico Cravero   in data  10/11/2018